Alfetta
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Storia

Presentata nel 1972 come sostituta della 1750, l'Alfetta rappresenta una delle berline più innovative del panorama europeo dell'epoca, non tanto stilisticamente quanto meccanicamente. Infatti, oltre al nome, eredita dalla monoposto Campione del Mondo anche la meccanica sopraffina che le ha permesso di ottenere così tanti successi: è infatti la prima berlina del Biscione a montare uno schema di tipo Transaxle con freni posteriori entrobordo, ovvero riunisce in un solo blocco cambio, differenziale e freni posteriori; le sospensioni anteriori a quadrilateri e posteriori con ponte DeDion garantiscono un comportamento su strada impeccabile. Unico difetto il cambio, rumoroso e lento negli innesti; problema che affliggerà anche le successive vetture da essa derivate (Nuova Giulietta e 75).

La linea, opera del Centro Stile Alfa, rappresenta una vera rottura col passato: linee tese e squadrate, moderna, ma col rischio di diventare un pò anonima; come al solito al suo debutto lascia qualche perplessità, subito fugate una volta sediti al volante.
Gli interni invece ricalcano la tradizione del marchio: plancia ben leggibile con strumentazione completa e la scritta Alfetta su inserti tipo legno. Lo spazio a bordo è notevole e permette di viaggiare comodamente per lunghi tragitti. L'assenza del cambio all'anteriore facilità la vita dei passeggeri davanti, ma la complica un po al posteriore, tanto da rendere il divano piuttosto scomodo per il passeggero centrale. Il generoso bagagliaio e l'ampia vetratura completano il quadro.

Al debutto dispone di una sola motorizzazione 1.800 derivata dal bialbero della 1750 e dotata di 122 cv; la scelta è dettata dalla necessità di mantenere in vendita contemporaneamente l'Alfetta, la Giulia e la 2000, questo per poter accontentare sia i nuovi che i vecchi alfisti. La cosa crea qualche problema alla vettura, che inizialmente si trova un po stretta nella morsa delle altre due.

Nel 1974 viene introdotta una versione coupè, denominata Alfetta GT, disegnata da Giorgetto Giugiaro basata sul pianale accorciato dell'Alfetta e dotata della stessa meccanica.

Il 1975 è segnato dalla crisi petrolifera, e gli uomini Alfa corrono ai ripari realizzando una versione con motore 1.600, preso direttamente dal cofano della Giulia e dotato di 109 cv. la necessità di tale manovra nasce dal fatto di voler contenere i consumi, visti gli alti costi del petrolio; cosa che però non riuscirà, visto che per mantenere prestazioni brillanti il motore deve lavorare a regimi più elevati, consumando quindi di più. Esteticamente il modello era facilmente distinguibile dalla sorella maggiore per la presenza di una sola coppia di fari all'anteriore. Contemporaneamente anche il 1.8 riceve qualche lieve ritocco, e la potenza scende a 118 cv.

Il 1977, l'uscita di scena della 2000 consente di dare finalmente all'Alfetta un motore degno della sua meccanica. Al Salone dell'Auto di Ginevra di quell'anno viene presentata l'Alfetta 2.0, che porta con se numerose modifiche estetiche: innanzitutto il frontale è più basso e più lungo di 10 cv, spariscono i doppi fari circolari all'anteriore in favore di due rettangolari, il paraurti, sempre in metallo, è adesso rivestito in plastica e incorpora gli indicatori di direzione e i gruppi ottici posteriori sono più grandi. Il cambiamento maggiore è però all'interno, con una plancia completamente ridisegnata e il nuovo volante.
Il motore deriva direttamente dal 1.800 e ne mantiene la potenza, pur aumentandone la cubatura. Viene migliorata l'insonorizzazione e la taratura delle sospensioni è più indirizzata verso il confort. Allo stesso tempo, le caratteristiche estetiche della 1.6 e della 1.8 vengono unificate.

Nel 1978 la 2.0 acquista la definizione di Lusso, con finiture più accurate e la potenza del motore elevata a 130 cv.

Nel 1979 viene introdotta l'Alfetta 2.0 turbodiesel, la prima vettura sovralimentata a gasolio in Italia. Il motore, prodotto dalla VM, è lo stesso che più tardi verrà montato anche sulla Nuova Giulietta, fornisce 82 cv e spinge l'Alfetta a 155 km/h, facendone la vettura diesel più veloce in produzione; è il primo motore automobilistico espressamente progettato per accogliere il turbocompressore. Il 1.8 riacquista la sua potenza originaria, stavoltà però a 5.300 rpm invece che 5.500.

Nel 1981 tutta la gamma viene unificata con l'adozione anche per la 1.6 e la 1.8 del corpo vettura della 2.0, al contempo la meccanica viene maggiormente votata al confort, riducendo di fatto la grinta e la sportività della vettura, por mantenendo elevate prestazioni.
Lo stesso anno viene presentato un progetto sviluppato in collaborazione con l'Università di Genova denominato CEM (Controllo Elettronico del Motore): sviluppato a partire dalla 2.0 consentiva di frazionare l'utilizzo del motore, passando da 2 a 4 cilindri a seconda delle esigenze, riducendo così i consumi; ne vengono realizzati 10 esemplari affidati a taxisti milanesi, per verificarne le reazioni in condizioni di utilizzo reale. Dopo la fase sperimentale, nel 1983 vengono realizzati 991 esemplari privi del frazionamento modulare, affidati a clienti selezionati. La cosa però non avrà seguito nella produzione di serie.

Nel 1982 viene introdotta la versione Quadrifoglio Oro, riconoscibile per i doppi fari circolari anteriori.

Il 1983 vede l'ultimo ritocco all'estetica dell'Alfetta: fasce paracolpi laterali in plastica nera lungo tutta la vettura e colorazione in nero dei montanti centrali. La Quadrifoglio Oro riceve un'ulteriore aggiornamento, con uno spoiler anteriore, sedili posteriori con poggiatesta incorporato e un nuovo quadro strumenti non ben leggibile. Il motore viene dotato di accensione e alimentazione a controllo elettronico Bosh Motronic e di variatore di fase sull'albero a camme dell'aspirazione, prima vettura di serie ad adottare tale dispositivo.

Oltre alla versione 2.0 td ne viene introdotta un'altra con motorizzazione 2.400 5 cilindri, sempre VM, con 95 cv.

Dopo quasi 500.000 esemplari venduti ed dopo essere stata la vettura 2.0 più venduta in Italia, lascia il posto nel 1985 alla 90 e più tardi alla 75, che ne erediteranno il pianale, con tutti i suoi pregi (e qualche difettuccio).

Scheda tecnica

Modello Alfetta 1.6 Alfetta 1.8 Alfetta 2.0 - Lusso - Quadrifoglio Oro
Motore 4 cilindri in linea longitudinale, anteriore, in lega leggera
Cilindrata 1.570 cm3 1.779 cm3 1.962 cm3
Potenza max 109 cv @ 5.600 rpm 122 cv @ 5.500 rpm (118 cv nel 1977) 122 cv @ 5.300 rpm (130cv @ 5.400 rpm dal 1978)
Distribuzione bialbero a camme in testa, dopo l'83 dotata di variatore di fase
Alimentazione 2 carburatori doppiocorpo
Trasmissione Posteriore Transaxle, cambio 5 marce + retro
Sospensioni Anteriori: a quadrilatero deformabile con barra di torsione - Posteriori: ponte DeDion
Freni 4 freni a disco, di cui i posteriori di tipo on board
Passo 2.510 mm
Peso a secco 1060 kg 1060 kg 1140 kg
Prestazioni 175 km/h 180 km/h 186 km/h

Foto

Particolare del motore 2.0 td prodotto dalla italiana VM
2.0 turbodiesel
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